Ogni vita è attraversata da porti sicuri. Possono passare epoche ma nessun graffio può scalfire gli appuntamenti che portano il sigillo nel cuore. Ho scritto tanto. Lo so. Ogni volta mi chiedo: Ora andrò oltre. Sono diventato nonno proprio nel mese di febbraio. Un segni. Un destino. San Lorenzo del vallo. Mio padre. Giulia, nostro padre. Due figli Virgilio Italo e Maria. Una nella e nobile famiglia, la loro. Grandi genitori. Sono sempre von noi. Un appuntamento importante. Mio padre è nota il 23 febbraio del 1920. Il tempo scorreva lungo gli intagli di paese. Come anni prima. Come anni dopo. Come nell’alba del 21 dicembre del 2012. Il tempo sempre trafigge chi di tempo vive. Mio padre a cento anni dalla nascita. Uno scrittore senza memoria naviga senza conoscere. Naviga dimenticando. Io scrivo per non dimenticare. Mia madre nata sempre a febbraio. Il 27.
Chi dimentica non avrà mai storia. Ma la storia ha la necessità di farsi memoria. Soprattutto quando si ha la consapevolezza che la nostalgia non ha senso. Ha senso il nostos.
Greci e mediterranei. Un paese resta nella marea della vita perché ci sono radici che abitano l’esistenza. A “Come un volo d’aquile” ai “Cinque fratelli”. “Dalla soglia della profezia” a “Sul davanzale delle parole” ho percorso il racconto della memoria.
Nel giorno del suo compleanno ho sensazioni ed emozioni graffianti di vento in un alfabeto di memorie lunghe che pesano nel rigare le linee del cammino. Dentro il suo viaggio la storia ha tracciato avventure.
La prima la terza persona. Un gioco dell’immaginario. È passato un secolo!
Non ho ancora finito di scrivere il nostro libro: “Quando mio padre leggeva Carolina Invernizio”. Forse c’è una forza inconscia, energia meglio, che mi impedisce di porre la parola fine. Non può esistere la parola che ponga fine alla nostra storia chiamata destino.
A dirtelo ora ha sempre più senso perché il viaggio che si è spezzato non ha il conto dell’orologio e le ore hanno la misura del vento che toccano l’ultimo incavo dell’orchidea lasciata sul primo gradino della scala del giardino come se aspettasse la carezza della tua mano.
Sei stato il mio capitano e il guardiano della fortezza tra gli anni che non sfidano ricordi ma segnano un indelebile cammino che ha posato rughe di malinconie tra le pieghe antiche del mio stanco sorriso. Sei stato un capitano. Il capitano! Sempre.
Non ho bisogno di cercarti perché sempre ci sei anche se il peso del tuo passo è la tua invulnerabile pazienza sono ora spazi di pioggia e inevitabili viaggi.
Avresti compiuto cento anni ma per te il tempo non ha più trincee. A cento anni dalla nascita 1920 – 2020. Hai attraversato la Storia e sei stato sempre fedele. Una fedeltà di vissuti.
Mi basta una rosa rossa del nostro giardino per raccogliere tutti gli echi delle parole che non ci siamo dette ma ci siamo date con uno sguardo di pensiero quando tu mi hai chiesto di poggiare la mia testa sulla tua in quel nostro ultimo appuntamento che ha raccontato le nostre vite.
Ho questo debito, padre mio, una rosa rossa per ascoltarti in una traccia di silenzio nel respiro del vento tra le stanze dell’anima
come un passaggio di aquile.
A dirtelo ora ha sempre senso. Non ho ancora smesso di scrivere di te su di te su madre Maria di madre Maria. Il tempo decide tutto. Come aironi i ricordi fuggono e come nuvole tornano.
Non solo in me in Giulia in Maria hai segnato il destino. Anche in paese. Tutti ti ricordano. Sei stato un maestro. Per noi non smetti di esserlo. Non smetterai. Mi hai insegnato che la pazienza ha il respiro del vento quando la roccia taglia le onde ed io non smetto di ascoltare la voce che ha suoni costanti di silenzio e il tuo non esserci ora è un’ombra che traccia l’anima.
Mi manchi. Già, ci manchi. Mi manchi nelle sere come questa sera che avrei bisogno di viverti nella solitudine e raccogliere almeno un gesto del tuo dire per sentire la tua mano sul mio viso come quando mi salutavi senza parole e oltre il tempo delle attese.
Padre ci manchi. E anche se racconto gli anni, gli anni, non c’è spazio per custodire la tua assenza, e so che bisogna restare aquile per vivere ogni luna delle tredici lune delle tartarughe nel giardino che tu per me hai coltivato fino al giorno della palma bruciata dal pianto.
Sei stato tu a starmi vicino proprio nel momento in cui il tuo viaggio cominciava a perdermi. Mi manchi. Padre lo so che lo sai che ci manchi. Mi appoggio ad uno dei tuoi bastoni. Bastoni che tu stesso intagliavi e cerco di imitarti. Si imita il proprio padre per tentare di reggere all’urto con la storia delle assenze. Madre Maria sempre ci osserva dalla sua stanza. Tu padre ci rassereni. Avresti compiuto cento anni. Siamo qui per non dimenticare.
La storia si intreccia con i sentimenti e le sensazioni traducono tutto in vita.
23 febbraio 1920 – 23 febbraio 2020. Virgilio Italo Bruni nel centenario della nascita.
Un uomo una coerenza un coraggioso viaggio nella saggezza della pazienza. Il capitano è andato via. Madre Maria lo ha cercato. Non è passato molto tempo. Il tempo dilania la storia. La storia si ferma. Il tempo va oltre.
Virgilio Italo ha dato tanto al suo paese. Ci sono appunti che si dichiarano e si testimoniano. Scriverò ancora dagli appunti che ho ritrovato. Documenti che ricostruiscono. Io e mia sorella siamo gli eredi di una vita unica in cui la bellezza ci ha resi liberi. Coerenza scavata nel nostro viaggio. Io e Giulia siamo tanto vissuti in un gruppo di famiglia che ci ha resi forti. Siamo i protagonisti veri di una intensità di sguardi che restano sulla pelle.
Ogni viaggio trova la sua Itaca nell’essere figli sempre e nell’essere nonni. Tutto sembra andar via. Ma tutto resta. Se siamo ciò che diamo e ciò che diamo è legato unicamente a loro. Nostro padre avrebbe compiuto cento anni.
Pierfranco Bruni